Barbagallo, oggetti di una natura digitale

di Tiziana Tricarico

Suggestive nature morte cromaticamente rielaborate. Un procedimento complesso che parte dall'allestimento, da messe in scena realizzate con oggetti lavorati o a volte semplicemente ricoperti dagli effetti luminescenti della cera, e che termina con la rielaborazione al computer - correzioni su luci e messe a fuoco - e la successiva stampa degli scatti fotografici. "Riverberi (digital still life)" è il titolo della personale di Antonio Barbagallo, esposta a Spazio Arte, la galleria di Annamaria Barbato: in mostra 13 stampe digitali su alluminio ed un'istallazione composta da 18 segmenti formato A3. Come le tele che contenevano gli oggetti avvolgendoli nella materia pittorica, così anche queste nuove opere dell'artista napoletano nascono per aggregazioni e sovrapposizioni.

Gli elementi delle composizioni si giovano di particolari tagli di luce scanditi su livelli successivi di intensità, con passaggi sempre improvvisi che tuttavia non rinunciano all'evidenza di sfumature che rendono l'immagine ambivalente, con la drammaticità che si alterna ad una eleganza sobria e raffinata. "Non volevo commettere l'errore di pensare al mezzo tecnologico come ad un valore aggiunto piuttosto che semplicemente come ad uno strumento differente dotato di un'incisività maggiore - spiega l'artista - quindi continuo ad utilizzare come soggetti dei miei lavori le piccole cose perse, gli oggetti abbandonati". In precedenza gli oggetti erano fusi nella materia. Ora è come se fossero racchiusi in una sorta di teche immaginarie. "Grazie al computer - aggiunge - ho avuto la possibilità di far emergere particolari quasi invisibili. Ciò che ti rende moderno ed attuale è l'idea e non il mezzo tecnologico utilizzato". Quella della fotografia per l'artista è una fase interlocutoria che non implica l'aver abbandonato la tela: "ho voluto realizzare questi lavori come un pittore e non come un fotografo". Fibre vegetali, tessuti naturali, conchiglie, pezzi di metallo vengono trasformati dall'artista. La sintesi di questo processo è l'installazione, che offre il senso più esteso di questa ricerca con le singole parti che finiscono per acquisire un'autonomia suscettibile, tuttavia, d'integrazione.

Da "Il Mattino" del 27 gennaio 2008

 

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